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Intervista a Pierpaolo Sanna

Ex atleta del Cus Cagliari, dell’Aeronautica Militare e dell’Esercito, attuale detentore del Record Sardo nei 400 metri (47″14), Laurea Specialistica in Scienze Motorie e Dottorato di ricerca. Attualmente Pierpaolo Sanna insegna Atletica Leggera all’Università di Cagliari nella cattedra di Prof. Concu. Direttore Tecnico della Nuova Atletica Sardegna, Pierpaolo guida il centro sardo della Federazione Italiana Rugby.

Quando hai iniziato a fare Atletica?
Quando avevo 7 anni. Dai 7 agli 11 anni nei corsi di avviamento allo Sport, poi ho ripreso a 14 anni. 

Quando hai capito che poteva diventare il tuo lavoro come atleta?
Per la verità non l’ho mai considerato un lavoro, era una cosa che mi piaceva e mi divertiva fare. Ho capito che potevo fare belle cose al secondo anno allievo. Se dovessi riassumere me stesso come atleta direi: poche qualità ma grande testa.

Perché hai smesso?
Ho smesso per un’operazione al ginocchio con un interessamento importante alla cartilagine. Quando ero nel giro della Nazionale il medico mi ha purtroppo comunicato che dovevo smettere di fare Atletica perché a soli 24 anni avevo le cartilagini delle ginocchia completamente usurate. 

Perché sei entrato in Scienze Motorie?
Perché amo lo Sport, perché lo considero un vero campo di lavoro e perché c’è sempre da imparare, da innovare e perché è una facoltà molto dinamica come caratterialmente sono io.

Quale apporto può dare ciò che hai imparato nei tuoi studi e come lo integri con gli studi scientifici pratici?
Un grande apporto. Con gli studi universitari ho imparato cosa è giusto e cosa è sbagliato. Da atleta ho imparato poco. Ho cominciato a capire perché mi sono fatto male e perché ho avuto una carriera breve. Il mio obiettivo è cercare di impedire che altri ragazzi commettano i miei stessi errori.

Quale apporto può dare la scienza all’attuale pratica sportiva e viceversa?
Il Comitato Olimpico Inglese per Londra 2012 è stato diretto da uno studioso italiano, scelto per rilanciare i risultati dello Sport inglese in vista dell’appuntamento olimpico: i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I grandi allenatori e tecnici internazionali studiano, fanno ricerca, scrivono pubblicazioni. Ormai, se si vuole diventare un tecnico importante è necessario conoscere l’inglese, avere una base scientifica importante. Altrimenti, fuori dalla Sardegna, non si è presi in considerazione nel mondo lavorativo.

Nel tuo percorso di studi sei stato aiutato dalla tua esperienza da atleta. Immaginiamo però un laureato che non abbia mai praticato Sport a livello agonistico, in possesso però della formazione accademica.
Non basta, come non è bastato a me. Dopo la laurea ho dovuto fare esperienza in altre realtà importanti fuori dall’Italia, imparando da illustri professori. Non dimentico però le esperienze fatte qui in Sardegna, con il professor Marco Pinna, ex preparatore della Dinamo Sassari. Con Silvano Garbin, preparatore tecnico della Federazione Italiana Rugby. Con Massimo Meri, con cui sono continuamente in contatto: lui è dovuto andar via dall’Italia perché qui non si poteva lavorare. Ne ho citato alcune ma ce ne sono tante altre che hanno contribuito alla mia formazione post laurea. Bisogna avere voglia di spostarsi di casa e uscire dalla Sardegna e dall’Italia.

Al momento sono pochi gli allenatori in Italia in possesso di preparazione scientifica…
In Sardegna. In Italia la situazione sta cambiando rapidamente.

Gli allenatori attuali che insegnamento possono dare ai neo-laureati e viceversa?
Da noi esiste ancora la figura dell’allenatore tuttologo. Nel modello anglosassone dello Sport ci sono tante figure. Esiste chi fa i test, chi fa riabilitazione, chi fa la programmazione. Se vuoi costruire qualcosa devi creare un’équipe in cui ci siano tutte queste figure. Ci può stare benissimo il tecnico senza formazione accademica che ha da tramandare la sua esperienza a chi si approccia a questo Sport. Nella mia società ho cercato di costruire una struttura tecnica con i ragazzi che si stanno specializzando, ognuno in un determinato campo, facendo solo quello. E stanno diventando molto bravi: ma non lo dico io, lo possono confermare esperti che hanno visto al lavoro il nostro team e si sono complimentati con noi.

Nella fase di transizione che si vive negli ultimi anni e nei prossimi 10-15 anni si può pensare a un ingresso graduale nel mondo delle associazioni sportive?
Bisogna partire da un principio: il lavoro va pagato. In Italia si chiede di fare del volontariato. Pian piano i nuovi laureati si devono formare e ci vogliono anni per farlo. Cito l’esempio di Pincolini che ora è tra i migliori al  mondo. In Italia ci sono grandissime eccellenze. 

Quali sono le esperienze più importanti che hai avuto nel pre e nel post laurea e nel dottorato?
Sono tante ed è difficile scegliere. Marco Pinna a Sassari mi ha fatto conoscere come si lavora nel mondo dello Sport: è stata un’esperienza importante. Sicuramente mi è servita molto l’esperienza con Silvano Garbin che mi ha aiutato a conoscere come ci si comporta nello Sport di élite, soprattutto mi ha fatto capire di avere le possibilità di lavorare in quest’ambito. A livello accademico lavorare continuamente fianco a fianco con Gianmario Migliaccio, Franco Melis o Antonio Crisafulli, tre nomi eccellenti dell’accademia cagliaritana. L’opportunità che mi ha dato il Prof. Concu di insegnare Atletica Leggera a Cagliari, che nessuno mi avrebbe dato. Il Prof. Concu è stato l’unico ad aver cercato di cambiare la situazione nella cattedra di Atletica Leggera dove chi insegnava Atletica Leggera non era laureato. 

Qual’è apporto personale che stai cercando di dare nell’insegnamento dell’Atletica Leggera?
Dovrebbero dirlo i miei studenti. Cercare di creare un’équipe di lavoro moderna, come ho visto fare fuori dalla Sardegna. Ho invitato tecnici importanti come Carlo Piras e Franco Tumatis che sicuramente aiutano a dare un prodotto migliore. L’Atletica ha tante discipline diverse e i tuttologi non devono esistere, anche se purtroppo qualcuno si spaccia come tale. Penso che, se si riesce a creare un’équipe importante, il prodotto per gli studenti sia nettamente migliore. Gli applausi e i ringraziamenti degli studenti al termine delle lezioni di Carlo Piras e Franco Tumatis, e anche della mia ultima lezione, sono stati il premio migliore di questo anno accademico. 

Si parla spesso di approccio multidisciplinare, intendendolo più che altro come atleta che riesce a fare più gare, però non c’è spesso una preparazione specifica.
Multilateralità e polivalenza sono due cose diverse. Anche grammaticalmente parlando. La multilateralità è la costruzione di una base di capacità importanti da cui un allievo può attingere. La polivalenza è quello che riguarda un decatleta. Sono due cose molto diverse che vengono spesso confuse. Sembra che un atleta che faccia più specialità dell’Atletica abbia avuto buone basi di multilateralità: non c’entra nulla. Si tralasciano le fasi sensibili delle capacità coordinative, cose che andrebbero studiate e applicate costantemente nei campi e che generalmente non succede. Si prendono bambini da 6 a 10 anni, si insegna una specialità di Atletica e secondo molti è multilateralità: è sbagliato. Dai 6 ai 10 anni ci sono delle fasi  sensibili importanti e su quelle bisogna lavorare in maniera giocosa non in maniera competitiva: l’errore sta tutto lì, sostituire il gioco con la competizione. Nell’Atletica purtroppo si stanno rovinando generazioni di bambini a mio avviso. 

Abbiamo assistito a fenomeni di specializzazione troppo precoce. Dal punto di vista scientifico, orientativamente, quando bisognerebbe iniziare a parlare di specializzazione per un atleta che è cresciuto dai CAS?
Io aspetterei almeno alla categoria Juniores. Se si intende quello che si vede troppo spesso in Sardegna, ossia agonismo puro, qui purtroppo lo si vede dalla categoria Cadetti ed è una cosa vergognosa e diffusa. Sembra che dia valore, e lo vediamo con le dichiarazioni di alcuni tecnici e dirigenti, portare dei ragazzi ai Giochi delle Isole o vincere il Trofeo Topolino. Il fine di una società e di un allenatore è cercare di portare un atleta alla Nazionale di Atletica, non a vincere il Trofeo Topolino, perché altrimenti stiamo sbagliando tutto. Se noi pensiamo che il nostro obiettivo, nostro e non del ragazzino, sia di far bella figura nelle giovanili facciamo un errore madornale: il nostro obiettivo come società è cercare di creare ragazzi che siano utili per la Nazionale. E’ così che si ragiona fuori dall’Italia, è così che si ragiona in alcune Federazioni Italiane.

Che effetto ha una specializzazione eccessivamente precoce sulla durata della carriera dell’atleta?
Me ne sono andato alcuni anni fa da una società di Atletica Leggera sbattendo i piedi per questo, portando articoli scientifici che dimostrano come i piccoli campioni abbiano una percentuale di abbandono dello Sport ben più elevata rispetto agli altri. Dove sono finiti quei fenomeni che popolavano i raduni degli anni passati? Non c’è presa di coscienza, si vuole nascondere la polvere sotto il tappeto. Cosa è successo in questi anni è evidente.

Pensi che a livello italiano l’obbligatorietà del raggiungimento di risultati importanti in tenera età per aspirare all’ingresso in un gruppo sportivo abbia incentivato il fenomeno?
Parlo per esperienza, essendo stato in due gruppi militari. Questo sistema è obsoleto, lo abbiamo noi e qualche Paese dell’Est. Sono modelli passati. Basta vedere quello che succede negli Stati Uniti dove lo Sport funziona veramente. L’atleta deve essere retribuito in base ai risultati: non si può entrare nel gruppo sportivo e vivacchiare. 

In quali altri sport hai maturato esperienza?
Basket, Vela, Rugby, consulenze per squadre di Volley. Fuori dall’Atletica ho più riconoscenza di quanta ne ho in quello che è stato il mio Sport da atleta.

Attualmente stai collaborando con la Federazione Italiana Rugby: cosa stai facendo?
Sono un preparatore federale, ho fatto un corso da preparatore atletico. Tra i tanti che hanno partecipato, la Federazione mi ha scelto per dare un contributo al sistema nazionale del Rugby. Mi è stato affidato da quest’anno il centro federale sardo che guido insieme a Manuel Cheirolo, giocatore importante e di grande esperienza che ha partecipato al 6 Nazioni, con cui mi trovo bene e con il quale si può costruire un’attività che porti i ragazzi a sperare di diventare un’élite. Il Rugby è diverso dalla Fidal. Il Rugby punta a trovare e costruire ragazzi che possano servire in futuro al 6 Nazioni e alla Nazionale, in Celtic League e/o nei massimi Campionati. L’obiettivo deve essere quello. Da noi  nell’Atletica funziona tutto a livello individuale, come dei cani sciolti, non c’è un sistema. Al contrario del Rugby, dove, anche allorquando si programma a livello di società, non si dimentica che l’interesse finale è migliorare il Rugby Nazionale e non la singola società. C’è unità anche tra le divergenze di vedute e i risultati si sono visti in questi anni. C’è stretta connessione e collaborazione tra centro e periferia della Federazione, un controllo diretto e quotidiano da parte degli osservatori.

Come sono selezionati i tecnici centrali e periferici?
Per loro è importante che ci siano meriti lavorativi e di conoscenza. Prima di iniziare il mio lavoro al centro federale, sono stato a Parma e sono stato messo alla prova, con correttezza e gradevolezza. Il mio lavoro e le mie conoscenze sono stati valutati. Non si è scelti a caso o per merito di raccomandazioni, non esiste essere “amici di” o nomine politiche: per il Rugby l’obiettivo è il risultato finale, ossia creare un’élite. Le conoscenze sono le cose più importanti.

Sono previsti controlli periodici, corsi di aggiornamento et similia?
Continuamente. La Federazione incentiva corsi di aggiornamento in giro per il mondo, fornendo i contatti per seguire i migliori percorsi formativi. A me è successo quando ho deciso di andare in Irlanda. La Federazione cerca chi ha voglia di imparare e ha voglia di rapportarsi con il mondo esterno.

Per chiudere, tra gli Sport con cui non hai collaborato, quale ti stuzzica maggiormente?
Non saprei, ho lavorato in quasi tutti. Il mio lavoro è fare il preparatore fisico e per me tutti gli Sport sono stimolanti perché tutti diversi. Per ora il Rugby mi affascina tantissimo, sono felice dell’esperienza e per il momento non vedo altri Sport, perché l’opportunità che ho è importante, ci sono obiettivi da raggiungere.

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